A marzo del 2018 ho presentato nel salone dell’oratorio il progetto di Costruzione della Scuola Materna di Bloléquin; si è iniziata così la raccolta dei fondi per la realizzazione del progetto. Lo stesso è stato presentato, inoltre, ad altre parrocchie, ad altre organizzazioni e a tanti amici.
In autunno, mi sono incontrato con i responsabili della Fondazione Padre Arsenio Onlus per fare il punto della situazione sulla raccolta dei fondi per l’attuazione del progetto; l’esame dei versamenti avvenuti deludevano le aspettative create dalle reazioni alle diverse presentazioni fatte.
Nella sala l’entusiasmo non era alle stelle: i contatti con fondazioni ed enti finanziatori di progetti in paesi “in via di sviluppo” non erano andati oltre gli incoraggiamenti e qualche suggerimento. Tuttavia, la responsabile era fiduciosa: qualcosa si sarebbe successo.
Ragazzi delle scuole stavano organizzando spettacoli per contribuire alla raccolta dei fondi necessari alla realizzazione del progetto. Amici venivano contattati.
La speranza riprendeva fiato.Un mese dopo, abbiamo constatato con piacere che il “tam tam” (!) funzionava, la meta si avvicinava.
Dal villaggio di Bloléquin arrivavano sollecitazioni: “non abbiamo tutto, ma se cominciamo i lavori altri donatori si proporranno”.
Così sull’onda dell’incoscienza e dell’entusiasmo si è deciso di iniziare la costruzione.
La Comunità delle Suore di Maria Consolatrice di Bloléquin aveva ragione.
I lavori sono iniziati a dicembre dell’anno scorso e nel frattempo, in Italia, altri donatori si sono fatti avanti; anche a Blolèquin qualcuno ha contribuito con carichi di ghiaia.
Ripensando a come si sono svolti gli avvenimenti, e vedendo la lunga lista di donatori, ognuno dei quali ha portato il suo contributo mi sono convinto della verità del detto che sono le gocce che fanno il mare: l’importante è che non siano disperse, ma vengano raccolte, così da renderle più efficaci.
Il risultato non è ancora stato completamente raggiunto e c’è necessità di nuove gocce per completare questo mare per dare al mondo una nuova immagine, perché il mondo è come lo sogniamo, come dice un detto Shuar, e i sogni servono per reinventare il mondo.
Un grazie a tutti.
Gian Pietro Bassani
In allegato i lavori a gennaio e febbraio 2019.
Per chi volesse aggiungere altre gocce, queste sono le coordinate:
IBAN: IT75N0335901600100000119838
Bollettino Postale: ccp n 72120595
Intestazione: Fondazione Maria Consolatrice di Padre Arsenio Onlus
Causale: Scuola Materna Bloléquin (Costa d’Avorio)
L’associazione Il giro del giro, l’Assemblea dei Genitori della Scuola L. Manara, l’Assemblea dei Genitori B. Marcello, la Parrocchia S. Elena e l’Atletico S. Elena hanno collaborato all’organizzazione del ciclo di incontri “Genitori in gioco”, rivolto ai genitori della Scuola Primaria. Gli incontri condotti dalla D.ssa Emanuela Degradi, pedagogista, e dalla D.ssa Antonella Benvenuto, psicologa, si sono snodati attraverso tre serate con l’intento di fornire ai genitori spunti di riflessione e sostegno nella meravigliosa quanto talvolta faticosa avventura dell’educare.
Nel primo incontro “Il piacere di imparare”, noi genitori siamo stati sollecitati a riflettere sull’importanza di sostenere i nostri figli nel riscoprire, senza ansia e paura, il piacere di apprendere e padroneggiare competenze nuove che arricchiscano la sua vita e potenzino le sue abilità.
Nel secondo incontro, “Importanza di regole e limiti nel percorso di crescita”, è stata accolta la fatica che facciamo quando nella quotidianità ci sperimentiamo nell’essere guide coerenti, che pongono argini, ai nostri figli così amati e spesso così protetti cui non si vorrebbe mai far sperimentare il dolore della frustrazione e del limite. Abbiamo condiviso l’importanza della regola come gesto d’amore, che fa sentire un bambino guidato con mano sicura e contenuto quando si sente in balia delle sue emozioni.
Nel terzo ed ultimo incontro, dal titolo “Riconoscere e dare nome alle emozioni”, noi genitori siamo stati guidati in un divertente e commovente viaggio attraverso racconti e disegni di bambini che esprimevano le loro emozioni. Condividendo come dare voce a ciò che sentiamo, lasciar fluire un’emozione attraverso il corpo, tradurla in parole attraverso un dialogo di condivisione empatica e di rispecchiamento adulto-bambino, sia non soltanto un’efficace via educativa che sostiene il bambino ad esprimere il proprio mondo interiore aumentando la sua consapevolezza di sé, ma anche una meravigliosa e più autentica esperienza di condivisione tra genitori e figli.
Al termine di questo ultimo incontro, abbiamo inoltre dato vita ad un piccolo momento informale e conviviale, per condividere spunti idee e riflessioni di progettualità collaborazione futura, partecipata ed orientata al sostegno genitoriale in una rete comunitaria sempre più integrata.
Domenica 11 novembre 2018 si è svolta la giornata della carità, composta da tre momenti comunitari:
- la messa, durante la quale i ragazzi del quarto anno di catechesi hanno realizzato una tovaglia con le parole che richiamano la carità, mentre tutti hanno scritto le loro intenzioni di preghiera su un biglietto che ha composto l'«albero della carità»;
- il pranzo comunitario;
- l'incontro in cui ciascun gruppo presente in parrocchia ha descritto le iniziative e lo stile con cui vive la carità.
Nell'allegato trovi la descrizione dettagliata di quanto vissuto.
Compi un gesto di solidarietà. In molti hanno risposto positivamente a questo invito Sabato 7 maggio in occasione della raccolta di prodotti alimentari organizzata a Quarto Cagnino dal Centro di Ascolto Caritas S.Elena e dalle Associazioni del territorio riunite nel progetto Allarga l’Arca, con il supporto del Comitato Soci Coop di zona. Grazie a tutti.
Grazie alle persone che con generosità hanno donato prodotti alimentari e per l’igiene da destinare a singoli o famiglie del territorio che stanno vivendo situazioni di disagio sociale ed economico. In molti uscendo dal supermercato hanno lasciato un pacco di pasto o di riso, dei pelati o dei piselli, una scatola di tonno o altro ancora che diventerà un pasto o una cena per altre persone. Nel volto di ciascuno si coglieva il tratto della generosità nel compiere tale gesto e la voglia di contribuire a rafforzare il bene comune.
Grazie ai volontari che hanno donato qualche ora del loro tempo per rendere possibile questa iniziativa. Oltre 50 volontari si sono alternati in turni di 3 ore circa nelle varie attività durante tutto il giorno: predisporre i tavoli per la raccolta; inscatolare con ordine i prodotti donati in modo da facilitarne la movimentazione; trasportare; stoccare. Alcuni volontari si conoscevano già tra di loro, altri no. Da subito si è percepita però tra tutti una sintonia e una comunanza di intenti. Si sono rafforzati dei legami di amicizia.
"Una città in cui un solo uomo soffre meno è una città migliore”. Queste parole di Don Luigi Di Liegro (fondatore nel 1979 della Caritas Diocesana di Roma) esprimono bene lo spirito che anima le attività delle associazioni e di questa iniziativa, che dà concretezza alla parola solidarietà. Circa 80 nuclei familiari, per un totale di oltre 200 persone, potranno beneficiare di questa solidarietà a Quarto Cagnino.
L’insostituibile contributo di ciascuno ha reso possibile rafforzare la ricerca e la costruzione del bene comune in questa porzione della città di Milano. Ancora un grande grazie di cuore a tutti.
Per il dettaglio della raccolta, clicca sui seguenti link: prima (7 maggio 2016), seconda (8 ottobre 2016), terza (13 maggio 2017) e del 13 ottobre 2018.
Visita la galleria delle foto del 7 maggio 2016 e del 13 ottobre 2018.
Si è appena concluso il ciclo di tre incontri su temi d’attualità per imparare a leggerli alla luce della visione cristiana. Una proposta sulla scia dell’invito che Papa Francesco ci fa nella Evangelii Gaudium “… esorto tutte le comunità ad avere una «sempre vigile capacità di studiare i segni dei tempi». […] È opportuno chiarire ciò che può essere un frutto del Regno e anche ciò che nuoce al progetto di Dio. Questo implica non solo riconoscere e interpretare le mozioni dello spirito buono e dello spirito cattivo, ma – e qui sta la cosa decisiva – scegliere quelle dello spirito buono e respingere quelle dello spirito cattivo (EG 51)”. Insomma uno sforzo di discernimento evangelico comunitario che ci porti a scegliere, a prendere posizione, ad agire nella nostra vita quotidiana. Le sfide del mondo attuale riguardano direttamente anche noi, le nostre famiglie e la nostra comunità. Sfide su cui provare ad interrogarci, confrontarci insieme e soprattutto sfide su cui insieme, senza perdere la speranza, trovare strade che ci possano portare a sperimentare nuove vie, nuove soluzioni.Nel primo incontro Paolo Foglizzo (della rivista Aggiornamenti Sociali) ci ha aiutato a riflettere sull’economia con uno sguardo ampio, uno sguardo che colga le relazioni tra economia ed ecologia, tra economia e sociale. “Dal momento che tutto è intimamente relazionato e che gli attuali problemi richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti gli aspetti della crisi mondiale, propongo di soffermarci adesso a riflettere sui diversi elementi di una ecologia integrale, che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali” (Papa Francesco, Laudato si', 137). Questa la sfida: tenere insieme responsabilmente economia, società e ambiente. Rispetto alla crisi che abbiamo vissuto dal 2008 ad oggi, una lettura superficiale potrebbe definirla semplicemente come una crisi economica, anche se la più grave dal dopoguerra ad oggi. Ma molti sono gli studiosi che da diversi fronti (economico, giuridico, sociale) pensano che questa crisi sia innanzitutto una crisi di senso. Così l’economista S. Zamagni (Professore ordinario di Economia Politica all’Università di Bologna): “In che cosa si esprime e dove maggiormente si è manifestata questa crisi di senso? La mia risposta è: in una triplice separazione. E precisamente, la separazione tra la sfera dell’economico e la sfera del sociale; il lavoro separato dalla creazione della ricchezza; il mercato separato dalla democrazia” (Symposium, Anno 3, n°9). In questa stessa direzione Foglizzo ci ha aiutato a riflettere criticamente sui modi di intendere l’economia e il progresso, come guardare criticamente ad alcuni aspetti dello sviluppo (lo sviluppo tecnocratico della società, la ricerca del profitto ad ogni costo, l’enfasi sul breve periodo, la finanza senza etica…). L’invito prima ancora di approfondire temi tecnici è di interrogarsi su che idea di uomo e di società si è basata nel tempo e si basa oggi la “scienza economica”. L’uomo è sempre e solo uno che ricerca l’interesse privato e individuale (homo oeconomicus) o è capace anche di altruismo e quindi di relazionarsi in altro modo con chi vive intorno a lui nella società, ricercando anche beni comuni? Si tratta cioè di vedere sulla base di quali presupposti valoriali si basa la visione complessiva dell’azione umana e sociale. Consapevoli che diverse visioni dell’uomo e del vivere insieme sostengono le diverse teorie economiche, e che le conseguenze di tali diversità impattano sulle scelte politiche. Dove mi piace dare alla parola politica il significato caro a G. Lazzati “costruire la città dell’uomo a misura d’uomo”. A seguire Foglizzo ha proposto la
riflessione sulla ricerca di nuovi stili di vita, sulle alternative che ci possono essere, richiamando il discorso del Papa al II incontro mondiale dei movimenti popolari (Bolivia 9.7.2015) e presentando l’esperienza del movimento internazionale Divestinvest. Non mancano in Italia, a Milano e nel nostro quartiere, nella nostra comunità, esempi di imprese sociali e organizzazioni non-profit. I germi del cambiamento sono già in atto. Sosteniamoli.
Nel secondo incontro don Walter Magnoni ci ha aiutato a riflettere sul lavoro che cambia. Un tema che da solo richiederebbe un percorso specifico. Diverse le sfide urgenti: l’intensificazione dei ritmi del nostro vivere (perché? che stili di vita implicano?), non demandare a Google il nostro sapere (siamo capaci di una lettura critica delle informazioni?), i tempi del lavoro (come conciliarli con il tempo della famiglia e della festa?), il welfare (quale welfare è possibile? con che forme?). La conoscenza è fondamentale. È importante per discernere: ci sono valori e ci sono disvalori. Diverse le iniziative di formazione della diocesi: durante la serata don Magnoni ci ha lanciato la proposta di fare un percorso anche in questa porzione della città di Milano, con particolare attenzione ai giovani. Sta a noi raccogliere la sfida.Nel terzo incontro Padre Camillo Ripamonti ci ha aiutato a riflettere sull’emergenza delle immigrazioni. Le migrazioni sono un segno dei tempi e da sempre. Si pensi ad esempio all’ingresso di popoli provenienti dalla Germania e dall’Europa centro-orientale all’interno dei territori dell’impero romano, seguito dal loro insediamento durevole nelle province occupate. Il fenomeno si svolse in due fasi, la prima delle quali, tra l’ultimo quarto del sec. IV e la prima metà del V, investì tutti i territori occidentali dell’impero e l’Africa, mentre una seconda ebbe luogo nella seconda metà del sec. VI e riguardò l’Italia (longobardi) e la penisola balcanica (slavi, avari e bulgari). E cosa dire dei flussi migratori degli Italiani di fine Ottocento e inizio Novecento. “Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà; non c'è niente di nuovo sotto il sole”, direbbe Qoèlet. Oggi, in un mondo globale, la dimensione del fenomeno è globale. Perché partono i migranti? Per avere condizioni migliori. Partono per la diseguaglianza economica, per i conflitti (compresi quelli religiosi) e per i cambiamenti climatici (desertificazione). P. Ripamonti ci ha fornito alcuni dati: dei 230 milioni di persone che migrano, 65 scappano dalle guerre; di questi 40 milioni sono profughi interni agli stati, 25 attraversano le frontiere. In Europa ne arrivano 300.000 e in Italia 150.000. Che viaggio devono affrontare? L’86% dei migranti intervistati in un recente studio realizzato dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni ha raggiunto l’Italia via mare. La maggioranza proviene dall’Africa occidentale o subsahariana e, dopo aver attraversato il deserto verso il Nord Africa, giunge in Italia attraversando il Mediterraneo. Per la stragrande maggioranza, l’ultimo paese di transito è stato la Libia (80%), dove ci sono dei veri e propri centri di detenzione (lager). In media, i migranti intervistati hanno passato 1,7 anni in viaggio prima di arrivare in Italia. Negli ultimi quindici anni oltre 30.000 persone sono morte cercando di attraversare il Mediterraneo. Il 60% di loro resta senza nome e senza un’identità. Come non sentirsi interrogati da questi fatti? E per noi cristiani come leggere questo segno dei tempi alla luce del Vangelo “Ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito” (Mt 25,43)? Che atteggiamento allora dobbiamo avere nei confronti dell’altro?
Temi che incrociano tra di loro economia ed ecologia, economia e lavoro, disuguaglianza economica, guerre e migrazioni, ma che hanno al centro un riferimento comune, l’uomo: un “altro” o mio “fratello”. Allora anche io, anche noi insieme possiamo fare qualche cosa. Concludo ricordando un pensiero del Card. Carlo Maria Martini: “…ritengo che l'etica debba essere soprattutto un luogo in cui la gente viene incoraggiata, animata, confortata. La grande parola dell'etica è: tu puoi fare di più, ti è possibile fare meglio, sei chiamato a qualcosa di più bello nella vita, essere onesti è possibile ed è un’avventura straordinaria dello spirito. Proprio di tale spirito di ottimismo abbiamo bisogno per non perderci in lamentazioni sterili e obbedire al precetto fondamentale dell'etica: cerca di essere più autenticamente te stesso, di essere più vero, più libero, più responsabile” (Viaggio nel Vocabolario dell’etica, 14-16). Insieme è più facile.
GIovanni Grasso
16 febbraio 2018
Di poveri ho spesso sentito parlare, visto tante foto, ascoltato racconti di chi in mezzo a loro ci vive, ma le foto non rendono, la povertà non puoi raccontarla… In Perù, a quasi 4000 metri sulle Ande, l’abbiamo vissuta a pieno.
A fine luglio in 18, accompagnati da don Paolo, ci siamo imbarcati sull’aereo; destinazione Cantu, un caserio di Llamellin. Qui siamo rimasti poco più di due settimane aiutando nella costruzione della chiesa del paese, facendo oratorio con i bambini e il giro di aiuto alle famiglie povere.
Dopo un anno passato a lavorare per raccogliere soldi da portare con noi in missione, l’idea di tirare su una chiesa mi ha entusiasmato molto: sporcarsi le mani, tornare a casa sporca dalla testa ai piedi, stanca morta, con ogni parte del corpo dolorante ma con il sorriso.
Poi c’è stato l’oratorio coi ragazzi; tra tutto era la cosa che mi spaventava di più, invece c’è stato un climax sorprendente, soprattutto con le bimbe: dagli sguardi timidi coi i volti nascosti dalle mante e i nomi sussurrati, agli abbracci che ogni giorno diventavano più stretti.
Non sono riuscita a non fare un confronto tra quei ragazzi e i nostri a Milano, a non ammirare il loro modo genuino di essere, il loro modo semplice di divertirsi, il loro modo sincero di ridere anche per le cose più banali. È stato bello scoprirli così coinvolti nelle attività di giocoleria, bandiere e tamburi che gli abbiamo proposto e vedere l’entusiasmo con cui si sono lanciati nello spettacolo in piazza che abbiamo fatto insieme l’ultimo giorno. E infine ci sono stati i poveri. Sono stati la parte più tosta, credevo di essere pronta ma incontrarli è stato un pugno nello stomaco. Posso raccontarvi la povertà in tutte le salse, ma non è nulla in confronto a vederla, a toccarla con mano.
Cosa mi sono portata a casa da questa esperienza? Mi sono portata a casa emozioni fortissime, sia belle che brutte. Mi sono portata a casa tante paure: la paura di non riuscire a raccontare, di non essere capita, la paura di dimenticare, la paura di fare le scelte sbagliate, di buttare via il tempo, di sprecare la mia vita. Ma mi sono portata a casa anche occhi nuovi, in grado di guardare meglio, più lontano; occhi capaci di vedere la povertà anche qui, tra le strade della nostra città. Mi sono portata il desiderio di potermi accontentare e di non lamentarmi se viene a mancare una comodità, mi sono portata a casa la speranza di poterci tornare un giorno.
Chiara
Il nostro mese di agosto ci ha riservato un’esperienza di missione con i frati minori cappuccini, trascorsa per una ventina di giorni ad Akhaltsikhe, una città della Georgia, a pochi chilometri dai confini della Turchia e dell’Armenia, presso il convento di frati minori cappuccini della città (diciamo “il” perché è attualmente l’unico convento in terra georgiana, dove la maggioranza delle persone è di religione ortodossa). A partire eravamo un gruppo di nove persone: sei giovani, due frati e una suora. Quello che il nostro viaggio prevedeva era un’esperienza di servizio e animazione per i bambini di Akhaltsikhe e un percorso di discernimento vocazionale e di vita di fraternità.
La realtà della Georgia è complessa: piccolo Stato che separa la Turchia dalla Russia, risente nel corso dei secoli dell’influenza prima ottomana, poi russa con l’annessione all’URSS. Dopo il crollo dell’Unione Sovietica, i rapporti tra Georgia e Russia rimangono tesi: nel 2008 la Russia ha avanzato un’offensiva nell’Ossezia del Sud, regione della Georgia a nord di Tbilisi, la capitale, occupando il territorio e costringendo gli abitanti a spostarsi in campi profughi vicino a Tbilisi. Inoltre, la popolazione è composta da 3 grandi gruppi: georgiani, antirussi e di religione ortodossa, azeri, musulmani, presenti nelle zone al confine con l’Azerbaijian, e armeni, antiturchi e di religione cattolica. Quest’ultimo gruppo, segnato nella sua storia dal terribile genocidio perpetrato dal movimento dei Giovani Turchi nel secondo decennio del Novecento, è presente in gran numero ad Akhaltsikhe, cittadina di confine.
Ad Akhaltsikhe bambini georgiani e bambini armeni non hanno molte occasioni per stare insieme: ci sono scuole diverse, quartieri diversi, lingue diverse. Ad Akhaltsikhe dal 2013 c’è frate Filippo, “mama” Filippo in georgiano, che offre ai bambini un luogo protetto dove poter giocare insieme con semplicità. Ogni estate organizza un campo di due settimane, il campo a cui abbiamo partecipato anche noi: le giornate prevedevano un momento di catechesi al mattino, dove veniva raccontato ai bambini un episodio della storia di Harry Potter, che Filippo attualizzava e collegava a brani di Vangelo che parlavano di amicizia, dell’importanza dello stare insieme nonostante le diversità. Dopo la catechesi ci si muoveva tutti alla volta della palestra della città, dove potevamo giocare in uno spazio più grande rispetto al cortile del convento, dove ritornavamo per il pranzo (piatto più gettonato: pasta e ketchup). Di pomeriggio organizzavamo laboratori, tra cui un corso di chitarra e di italiano.
La parte restante della giornata, finita l’attività con i bambini, era dedicata a momenti di fraternità: prima di iniziare la giornata di oratorio ci trovavamo noi giovani per la catechesi tenuta dai frati e dalla suora che ci accompagnavano, seguita da un momento di meditazione personale. La sera, durante la messa, mama Filippo lasciava spazio per condividere aneddoti, riflessioni, impressioni, emozioni della giornata, cosa che ha aiutato molto nel costruire un gruppo affiatato e entusiasta di vivere insieme questa esperienza, insieme a Filippo e Fabio, frati della missione, e Roberti, un giovane georgiano che fa parte di questa piccola fraternità e che questo autunno verrà in Italia a studiare e seguire un percorso di discernimento per diventare frate.
La cosa bella della missione è l’incontro con l’altro: scoprire persone come Filippo e Fabio, che nonostante la difficoltà della lingua si spendono totalmente per i bambini e per chiunque bussi alla porta del convento, sia georgiano o armeno o ortodosso o cattolico. Conoscere ragazzi pieni di energia e voglia di aiutare il prossimo, come Roberti e Mariami, che ci hanno aiutato a comunicare con i ragazzi georgiani grazie alla loro conoscenza dell’italiano, animatori instancabili e pieni di vita. Venire invitati a cena da una famiglia georgiana che ti accoglie a braccia aperte e ti regala una serata magica nella sua semplicità, dove quello che importa non è la lingua diversa, ma lo stare insieme. E poi ci sono i bambini: la cosa che ci spaventava prima di partire era come comunicare con loro e rispondere alle loro richieste (dato che il georgiano è una lingua molto ostica), ma appena arrivati abbiamo capito che la parola doveva passare in secondo piano. I bambini hanno quella capacità di guidarti nel loro mondo di piccoli gesti e di sorrisi e di giochi, felici di condividerlo con chi dona loro un po’ di tempo: e lì il bisogno di condividere e stare insieme è palpabile, concreto. Il gioco è una cosa seria, e nessuno si tira indietro: tutti, piccoli e grandi, hanno voglia di “mettere le mani in pasta” e giocarsi, scoprire cose nuove, imparare dei valori con cui crescere.
La realtà che ha creato mama Filippo è una realtà che cresce e che è bello veder crescere in un luogo dove la figura dell’animatore o dell’educatore quasi non c’è, ma che sta prendendo forma grazie all’entusiasmo dei ragazzi più grandi che vivono l’oratorio. Un’esperienza così intensa vissuta di fraternità fa tornare a casa con un bagaglio più grande di quando si è partiti, un cuore pieno e desideroso di amare, mettersi e rimettersi in cammino, accompagnare questi ragazzi, ripartire, ritornare.
Elisa e Daniele
Racaciuni, luglio 2017
Quest’estate ho avuto modo di vivere un’esperienza splendida con BIR (Bambini in Romania), un’associazione aconfessionale che ormai da quasi 20 anni organizza partenze estive e invernali con destinazione in varie località della Romania e della Repubblica Moldova. I diversi campi hanno luogo in realtà come orfanotrofi, centri diurni, case famiglia a carico dello Stato, che però accoglie i gruppi di volontari italiani come collaboratori in uno scambio culturale a volte semplice, a volte no.
La mia destinazione è stata Racaciuni, un paese un po’ sperduto a est della Romania, con cui per la prima volta quest’anno BIR ha intrapreso una collaborazione. Io e il mio gruppo (eravamo 11 in totale) vivevamo in una struttura attigua ad un istituto religioso di frati che durante l’anno ospita circa una ventina di ragazzi rumeni dai 13 ai 20 anni, per tutelarli da difficili realtà familiari e per permettere loro di andare a scuola. Ogni estate l’istituto organizza il cosiddetto “GREF”, che corrisponde all’incirca al nostro centro estivo, nei paesi più vicini e più poveri; a fare gli animatori sono proprio quei ragazzi che durante l’anno vivono in istituto, insieme ad alcuni animatori del paese e guidati dal prete locale. La nostra giornata era quindi all’incirca così: al mattino vari lavori “domestici” (ad esempio partecipare al raccolto dei campi dell’istituto), riunione organizzativa per preparare le attività, e al pomeriggio Gref con i ragazzi.
Il Gref permette a molti bambini e ragazzi che durante il resto dell’estate stanno in strada o lavorano nei campi, di tornare ad essere, per una settimana, semplici bambini o ragazzi, giocare e stare con i loro amici. Le attività lì consistevano principalmente in un momento di “riflessione” sul tema della giornata e in un momento di gioco, che era l’attività principale nonchè il momento più apprezzato. E’ stato difficile, soprattutto all’inizio, non capire e non riuscire ad esprimersi. I primi giorni sono stati i più ostici, perchè ancora percepivo quel sottile muro tra “me” e “loro”. Poi piano piano tutto si è sciolto senza bisogno di troppe parole, e mi sono sentita a casa: dai ragazzi dell’istituto con cui abbiamo condiviso le nostre storie e con cui siamo diventati amici, ai bambini al Gref che pur non sapendo nemmeno il tuo nome ti corrono incontro entusiasti, e sono felici che tu sia lì, anche se solo per quella settimana, quel giorno, quell’istante. Questo mi ha sempre colpito, ogni giorno: la loro capacità di essere felici nonostante le case in lamiera, le condizioni igieniche a volte disastrose, l’acqua del pozzo sporca, la fatica del poter contare solo sulle proprie gambe, perchè il mezzo di trasporto più veloce poteva essere un carro trainato da cavalli. La loro capacità di essere felici nonostante molto spesso essere “fortunati” significasse avere a casa anche uno solo dei propri genitori, perchè l’altro era stato costretto a partire per cercare lavoro, o significava non subire nessun tipo di violenza, o costrizione. Essere felici nonostante quella che io ho sempre chiamato “povertà”, e di cui ho imparato a rispettare gli spazi vivendo con loro.Sono certa che mi abbiano donato e insegnato molto più di quanto io abbia lasciato loro, e molto più di quanto si possa spiegare a parole. Nel rapporto con loro mi sono scoperta a rinunciare al mio desiderio di sapere della loro vita, molto spesso anche al desiderio di aiutare o di poter intervenire perchè non ce n’era la possibilità, e di essere ricordata, e riconosciuta come una qualche figura. È stato uno stare insieme “puro”, spogliato di tutto, di ogni aspettativa o pretesa, vissuto istante per istante, e pieno dell’amore, dello scherzo, del divertimento o della stanchezza, della gioia che potevamo provare. Mi sono scoperta ad arrendermi, a rispondere ad un qualunque loro bisogno, che fosse correre, stare in silenzio, cantare o ballare, rispettare il loro spazio. E forse per molte delle altre cose che mi hanno insegnato ci vorrà tempo ancora.
Tornare dopo un’esperienza del genere, dopo la totale immersione in una cultura differente ed il mettersi a servizio in modo “incondizionato”, mi ha aiutato ad aprire un po’ di più gli occhi e il cuore su tutto quello che vivo qui quotidianamente. E credo davvero che ora starà a me riuscire a spendere e a tenere in vita tutto quello che ho ricevuto.
Gina
Quest’estate ho avuto l’opportunità di partire alla volta di Castel di Lama in provincia di Ascoli Piceno assieme ad un altro gruppo di ragazzi di Inverigo per partecipare ad un campo di formazione e servizio con l’obiettivo di aiutare i paesi del centro Italia colpiti dal terremoto del 24 agosto 2016.
Arrivati a destinazione, siamo stati ospiti dell’oratorio della parrocchia di Sant’Antonio da Padova di Ascoli.Capitanati da Don Paolo Sabatini, sacerdote della parrocchia di Ascoli e fondatore dell’associazione “Laboratorio della Speranza”, associazione di promozione sociale, siamo partiti alla volta dei vari paesi tra cui: Arquata del Tronto, Pescara del Tronto, San Benedetto del Tronto, Accumoli e Acquasanta Terme.
Ogni giorno era una nuova avventura!
In quella settimana abbiamo potuto toccare con mano tutto ciò che fino a quel momento avevamo potuto vedere in televisione e capire così cosa significa perdere tutto in pochi istanti.
Qui, con i miei compagni, abbiamo dato aiuto: agli anziani ricoverati, ad eseguire traslochi per le famiglie ancora sfollate ed abbiamo donato ai bambini momenti di svago e divertimento.
Un’esperienza che non dimenticherò, che ha suscitato in me tantissime emozioni alternando gioie di un sorriso di chi abbiamo incontrato e che ci ha aperto le porte della propria casa, al dolore provato di fronte a visi ancora turbati di chi ha perso tutto.
Alessandro
Pensieri in libertà il giorno dopo la fine del Grest dell'oratorio S.Elena 2017...
Far vivere ai più piccoli, bambini delle elementari e ragazzi delle medie, un’avventura entusiasmante, coinvolgente ed educativa: questo è quanto si era proposto il gruppo di valorosi animatori del Grest e, a festa conclusa, in fase di bilanci, possiamo ben dire che l’obiettivo sia stato pienamente raggiunto!
Un ringraziamento particolare a tutti i nostri adolescenti e giovani che hanno scelto di dedicare tre settimane a questa sfida! Siete stati per i piccoli di grande esempio in questi giorni, siete diventati per loro, nei loro pensieri, nelle loro parole, un punto di riferimento. E la felicità che avete loro regalato si leggeva ieri sera, durante il bellissimo spettacolo, nei volti di tutti loro. Ora che vi conoscono per nome, vi hanno preso ad esempio nelle piccole e grandi imprese quotidiane in oratorio e continueranno a pensare a voi come ai loro amici “grandi”. Siate contenti del servizio che avete svolto! Non li avete soltanto intrattenuti, ma li avete soprattutto aiutati a crescere nell’amicizia, nella generosità, avvicinando voi e loro un po’ di più all’Amico vero!
Grazie a don Paolo
Grazie a tutti e a ciascuno
Non ho visto il papa da vicino.
Non l’ho visto neanche sul megaschermo, che non funzionava.
OK, ho sentito quello che il papa ha detto (ma avrei potuto farlo anche con la radio).
Ho fatto tre ore di fila per riprendere il treno.
Di cui almeno una sotto una pioggia scrosciante.
A guardarla così sembra un fallimento.
Ma non c’è stato solo questo a Monza il 25 marzo, ed è valso la pena esserci.
Mi è piaciuto partire da casa con i miei comparrocchiani, molti dei quai ho conosciuto in quella occasione perché frequentiamo Sant’Elena in momenti diversi.
È stato bello ascoltare la storia di umanità che ciascuno portava. Storie che non vanno sui giornali, ma che sono dense delle fatiche del quotidiano, del peso di malattie, della tristezza di lutti e anche di gioie tranquille. Storie di eroismo nascosto. Sì, eroismo, perché di fronte a carichi talvolta molto pesanti, dai racconti emerge una consapevole accettazione, un esserci senza maledire, un rimettere nelle mani di Dio le proprie difficoltà con fede semplice e profonda.
La stessa che ho visto con commozione nelle centinaia di migliaia di persone giunte per stringersi intorno a Francesco. Uomini e donne, famiglie e bambini, giovani e anziani... veramente tutto il popolo di Dio. Eravamo come le folle che seguono Gesù nel deserto, di cui lui ha compassione perché nel deserto hanno fame. E lui le sazia.
Tutti intorno al papa per ascoltarlo e dire con la nostra presenza: noi ci siamo, e siamo con te!
Né gran teologi, né missionari, né mistici. D’altra parte Gesù ha voluto come sua cavalcatura un asino e non un cavallo di razza, e dunque va bene così: essere persone vere, ognuna con il proprio cammino umano e di fede, che più o meno consapevoli dei propri limiti e delle proprie grandezze, si lasciano in qualche modo sfiorare e illuminare dalla luce del Vangelo.
Tutti abbiamo sentito il papa ricordarci che l’annuncio dell’angelo «Rallegrati, il Signore è con te!» è proprio per ognuno, non importa quanto in periferia: ci raggiunge tutti!
Tutti abbiamo potuto sentire, ancora di più con papa Francesco, l’appartenenza a una Chiesa universale. Una Chiesa talvolta affaticata dalle differenze, ma che in queste trova la sua ricchezza se le sa accogliere e accogliere ogni persona nella sua fatica di vivere.
Sono grata per la visita di papa Francesco. Sono grata per tutti coloro che ho incontrato nella giornata trascorsa. Porto con me i loro pesi e i loro sorrisi in questi giorni di Pasqua, quando la comunità dei cristiani si raduna prima intorno alla croce e poi nella meraviglia di una tomba vuota.
Lo scorso 12 maggio, una cinquantina di parrocchiani ha aderito alla proposta di un pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Monte Berico a Vicenza.
La meta era quanto mai indicata, in questo anno giubilare della misericordia, poiché la statua che si venera alle spalle dell’altar maggiore è proprio quella della “Mater Misericordiae”. La Vergine è posta in piedi, con le braccia aperte per sostenere il suo ampio mantello, con il quale protegge i suoi figli, rappresentanti del popolo vicentino di ogni ceto sociale, inginocchiati ai suoi piedi, quattro a destra e quattro a sinistra, che invocano la sua protezione “Mostrati Madre” come si legge nell’iscrizione sul basamento della statua.
Sull’altare, ai piedi della statua, don Carlo ha celebrato la S. Messa al termine della quale tutti assieme abbiamo recitato la preghiera scritta da Papa Francesco “... aiutaci a dire il nostro sì...”.
Il Santuario è affidato alla cura dei Servi di Maria e uno dei frati ci ha guidato nella visita al Convento soffermandosi, in particolare, sull’illustrazione di un quadro che occupa l’intera parete, opera di Paolo Veronese, “Convitto di S. Gregorio Magno nel refettorio del Convento antico”, miracolosamente salvato dai danni e dai tentativi di esportazione durante le guerre, che in quella zona sono state numerose.
Terminata la visita, ci siamo trasferiti al Ristorante “Ai sette Santi”, dove ci aspettava un lauto pranzo, che è stato molto apprezzato sia per qualità che per quantità.
Il pomeriggio era destinato all’escursione a Sirmione, con tempo libero a disposizione e tante possibilità per non annoiarsi: abbiamo iniziato con un bell’acquazzone – per fortuna durato pochi minuti – e poi ci siamo inoltrati nelle viuzze con negozi di ogni genere, ma soprattutto gelaterie, gelaterie e... ancora gelaterie con esposizione di tanti prodotti che era impossibile ignorare.
Tra le altre mete visitate: il Castello, la Cappella dopo l’arco di ingresso, le Terme, l’antica Chiesa di S. Pietro, recentemente ristrutturata, con la campana “La Julia” che suona all’ora del tramonto per la ricorrenza dell’8 settembre 1943 a memoria ed onore dei militari italiani caduti.
E’ stato anche possibile visitare la casa in cui abitava ed è morta nel 1964 la Venerabile Benedetta Bianchi Porro, per la quale è in corso il processo di beatificazione.
La giornata è stata intensa e interessante, movimentata anche nel viaggio di ritorno da un "fuori programma" spiacevole, la rottura dell'impianto dell'aria condizionata del pullman. Pur nella difficoltà dell'imprevisto, la gestione ha attenuato le difficoltà e gli inconvenienti.
Puoi vedere alcune foto della giornata, cliccando qui.
Partenza puntualissimi dal piazzale di S. Elena, la tangenziale non ci fa paura! 36 parrocchiani decisero di affrontare un pellegrinaggio nelle terre di S. Francesco, preparati dagli incontri (in parrocchia) e motivati all’incontro con il Santo di Assisi.
Si capì subito l’alto livello culturale del pellegrinaggio: farsi la tangenziale con la nona di Beethoven non è da tutti! Il primo Pit-stop in autogrill venne affrontato con sicurezza da tutta la brigata. Solo c’è voluto un po’ di Ramazzotti (Eros) per digerire i successivi chilometri…
Per entrare nello spirito del pellegrinaggio, don Carlo dotò i partecipanti del Sant’Elena book, utile guida spirituale all’itinerario, dove una pagina della storia di S. Francesco si univa la parola del Santo Padre.
Il primo incontro importante avvenne nei dintorni di Firenze: Sorella pioggia, che benedisse il nostro cammino fino all’arrivo alla Residenza Santa Tecla ad Assisi e non mancò di cullarci fino al nostro risveglio.
La giornata di sabato, importante ed intensa, merita una precisa cronologia:
Ore 7:00, colazione a Santa Tecla. Qui ci fu il secondo importante incontro: sorella Luna, la bionda cuoca artefice di migliaia di brioche, molto apprezzate da tutto il gruppo! Sora pioggia ci accompagnò anche sabato mattina, ma quasi subito ci presentò frate Vento che ci sostenne per tutto il giorno col suo vigoroso soffio.
Ore 8:00, S. Messa alla Tomba di S. Francesco. All’entrata l’emozione ci colse alla vista della Basilica Inferiore tutta per noi (a quell’ora!). Un mistico raccoglimento ci accompagnò nella celebrazione della S. Messa e nella meditazione sulla Tomba del Santo. Qui ci siamo ricongiunti anche con un’altra famiglia di parrocchiani e così in fraternità abbiamo continuato il nostro cammino.
Dopo la S. Messa si presentò a noi Maddalena, la guida di Assisi che, molto ben preparata, ci illustrò la storia e gli affreschi della Basilica Inferiore, un passaggio a quella Superiore e poi, dopo una piccola pausa, attraversammo la città per la visita alle Basiliche di S. Chiara, dove la Santa riposa dalla sua morte, e San Rufino che conserva il fonte battesimale dove Francesco e Chiara furono battezzati. La passione di Maddalena nella spiegazione ci ha pervaso ed incuriosito, tanto che le ore sono volate nonostante la temperatura piuttosto fredda.
Ore 14:30, visita all’Eremo delle Carceri. Frate Vento, dopo aver strapazzato un po’ sorelle Nuvole ci presentò finalmente anche fratello Sole. 8 temerari affrontarono l’impervio cammino per l’Eremo mentre il resto del gruppo decise di andare meno asceticamente in taxi.
Ricongiunti al gruppo dei maratoneti, dopo un momento di meditazione visitammo l’Eremo in claustrale silenzio, i suoni delle fronde che oscillavano al forte vento ed il cinguettio degli uccelli ci ha dato l’idea delle sensazioni che potevano accompagnare S. Francesco quando si ritirava in quei luoghi. Bellissimo il saper ascoltare.
Ore 16:00, visita a S. Damiano. Dall’Eremo discesa a S. Damiano, dove Suor Mara ci accolse e ci raccontò la storia di S. Chiara, che in quel luogo visse tutta la sua avventura contemplativa. L’entusiasmo contagioso di Suor Mara riscaldò i nostri cuori (vista la temperatura) durante il percorso della visita al santuario, ed il tutto ci ha fatto riflettere sulle condizioni di vita dei due Santi rapportate alle comodità che tutti i giorni noi viviamo.
Al termine della visita un gruppo tornò in citta, ed un altro rimase ai vespri cantati dai frati ed all’adorazione eucaristica. Un momento molto intenso e raccolto.
Ore 18:00, il ritorno del guerriero. Ormai stremati tornammo all’istituto, che era spartano ma molto confortevole! C’era tutto il necessario e poi la cucina di sorella Luna è stata molto gradita da parte di tutti i commensali.
Ore 21:00, visita a Spello. Rivitalizzati dalla lauta cena, un gruppo di 27 indomiti parrocchiani ripartirono con il pullman alla volta di Spello, attraversando la vallata ammirando una spettacolare Assisi by night. Arrivati al parcheggio del pullman si presentò loro una ripida salita che portava al Belvedere, dove lo sguardo spaziava… in basso sulla piana illuminata, ed il alto verso frate Cielo che si presentava con tutte le sorelle stelle. La Luna non c’era, era rimasta all’istituto a lavare i piatti…
Il paese, di chiaro impianto medioevale, era molto bello e ben tenuto però, pur essendo sabato grasso, incontrammo solo due persone in tutto il percorso, tanto che qualcuno fantasticò su una presunta tendenza al suicidio degli abitanti... Ovviamente solo una fantasiosa battuta…
Ore 23:00. Finalmente tutti a dormire!
La domenica invece aprendo la finestra vedemmo un cielo terso, coi fratelli uccellini che cinguettavano allegramente e fratello Sole che illuminava la campagna e faceva rialzare le temperature.
Colazione con le famose brioches e poi valigie in pullman, per un itinerario non meno intenso del giorno prima! Via di corsa alla S. Messa in S. Maria degli Angeli; un momento di meditazione con il sant’Elena book, visita alla Porziuncola e al roseto e peccato non aver visto la cappella del transito perché chiusa durante le celebrazioni domenicali. Foto di gruppo e poi via alla volta di Rivotorto, luogo del tugurio di S. Francesco che ricorda il primo luogo dove il Santo visse poveramente coi suoi discepoli.
Gran finale con il pranzo di sorella Luna: umbricelli al pomodoro, salamelle e tagliata con insalata, sformatini di patate e mousse ai frutti di bosco… ringraziamenti alle cuoche per il trattamento spettacolare e poi via alla volta di Perugia per ascoltare, a conclusione del pellegrinaggio, una testimonianza sulla vita contemplativa francescana presso il Monastero delle Clarisse.
Sembrava una piccola deviazione, ma raggiunta Perugia il dramma: col pullman non si può entrare in città. Gli eroici santelenini non si persero d’animo ed affrontarono un avventuroso percorso con mini metro stile caffettiera e, a detta di google maps, solo un km a piedi, ma sembrava molto di più. Raggiunta faticosamente la meta, fummo accolti da Suor Felicita, che ci espose con fervore e gioia la vita che svolgevano in convento e come cercavano di applicare la regola di S. Chiara ai giorni nostri. Purtroppo fratello Tempo scoccò l’orario del rientro e noi, dispiaciuti e un po' commossi, ma con la pace nei nostri animi, affrontammo il percorso fino al pullman. I più conservativi sono tornati a piedi e mini metro, altri hanno tentato il bus di linea oppure il taxi, mettendo a dura prova le coronarie di don Carlo al cui elenco mancava sempre qualcuno. Come Dio volle, alla fine il gruppo si riunì ed il pullman ripartì alla volta di Milano con tante emozioni nell’animo, con tante parole dette e con qualcuna che ci è rimasta nel cuore, con tante preghiere e con un ritardo abissale, recuperato in parte dai formidabili autisti. Ci rimane questa esperienza di fraternità dei due giorni passati insieme, dei bei paesaggi visti e tutte le esperienze vissute… un viaggio indimenticabile.
E per finire ecco il nuovo saluto francescano di S. Elena: “Tao” (unione di tau e ciao) a tutti!
In preparazione al pellegrinaggio parrocchiale ad Assisi, sono stati proposti tre incontri su san Francesco. Ognuno aveva un un suo colore, a richiamare diversi aspetti riguardanti la vita e l’insegnamento di questo santo del quale, a quasi 800 anni dalla morte, si sente ancora l’influenza e il fascino.
Il primo incontro è stato proposto da don Giuseppe Como. Il titolo era “San Francesco: le sue parole, i suoi gesti”. Partendo dalla lettura del testamento di san Francesco don Giuseppe ci ha guidato attraverso il percorso di un uomo al quale l’incontro con Dio ha ribaltato la vita, e Francesco ha permesso che ciò succedesse abbandonandosi al suo amore.
Le lodi che Francesco esprime per Dio e per il creato nei suoi scritti e nel famoso “Laudato si’...”, dicono quanto per lui Dio fosse tutto, e potesse trovare la grazia e la perfetta letizia solo in ciò che a Dio lo avvicinava.Il secondo incontro, dal titolo “Francesco e il mondo francescano oggi”, è stato tenuto da padre Luigi Boccardo e dai nostri comparrocchiani Simona e Luca Castiglioni. Padre Luigi ci ha parlato del carisma di Francesco e di come esso sia arrivato fino a noi, cercando di mantenere attraverso i cambiamenti dei secoli lo spirito e il messaggio originario di Francesco.
I punti sui quali padre Luigi ha portato la nostra attenzione sono quelli che più emergono dalla vita e dagli scritti di Francesco. Il primo è l’importanza della fraternità, della comunità come luogo in cui vivere il Vangelo, con le sue fatiche e la sua bellezza. Il secondo è l’attenzione ai poveri, che nasce dalla fraternità intesa come condivisione dello stato umano di fragilità. Il terzo aspetto sottolineato è stato il rimanere di Francesco nell’alveo della chiesa cattolica, amandola così com’è.
Simona e Luca ci hanno parlato dell’ordine secolare francescano. L’intuizione di Francesco che anche i laici di ogni ceto potessero vivere seguendo il Vangelo, era rivoluzionaria per il tempo. Il percorso è intenso: c’è un cammino di formazione che porta alla professione solenne, che è per tutta la vita. Per il terziario valori quali la fraternità, la condivisione con i poveri, la sobrietà, la comunione con la Chiesa, sono quelli che orientano la vita e custodiscono il desiderio di vivere dando un senso ai propri giorni. Nel terzo incontro la dottoressa Rosa Giorgi ci ha parlato di “Volti e messaggi di Francesco nell'arte” regalandoci un ampia panoramica del volto di Francesco e degli avvenimenti salienti della sua vita materiale e spirituale. Non esistendo ai tempi di Francesco la categoria pittorica del ritratto, già la prima rappresentazione di Francesco a soli due anni dalla morte, è attraverso categorie etiche e stilistiche che allontanano dalla realtà.
Al di là delle differenza di stili che attraversano ben otto secoli, anche la scelta dei soggetti da rappresentare della vita di Francesco dipende dal messaggio che interessava comunicare al committente e al pittore nel momento storico della produzione artistica. D’altra parte Francesco si presta, dato che risulta una personalità unitaria ma sfaccettata nelle sue esperienze: da quelle mistiche, come il ricevere le Stigmate, a quelle di comunione con il creato, quando predica agli uccelli.
Per concludere si può dire che questi incontri sono stati una bella introduzione al nostro pellegrinaggio e un’occasione per lasciarsi provocare da una figura che ha vissuto con eccezionale intensità il suo percorso di fede e di vita.
L’anno prossimo ci servirà una sala più capiente…
Numerosi invitati di diverse nazionalità si sono stretti nel salone del nostro oratorio per festeggiare insieme il Natale ormai prossimo.
Ogni anno, da quindici ormai, l’Agape dell’amicizia riunisce a sant’Elena le famiglie seguite dalla Caritas parrocchiale, i ragazzi che periodicamente vendono il giornale “Scarp de Tennis” alle porte della chiesa e chiunque altro voglia festeggiare portando un suo bel piatto, abbondante e saporito, da condividere con gli altri presenti, anche con coloro che non hanno invece nulla da condividere, salvo un bel viso sorridente.
Di sorrisi se ne sono visti tanti: il cibo, la festa, sentirsi voluti e amati, sono tutte cose che inducono al sorriso.
Il già consistente menù italiano è stato ulteriormente arricchito da un tipico piatto eritreo, composto e servito direttamente dalle mani della volonterosa cuoca e il buffet prevedeva anche pietanze vegetariane o senza carne di maiale, che hanno messo a loro agio tutti i commensali.
Tra i volontari che hanno dato una mano alla realizzazione del pranzo, le diverse teste e idee si sono ben presto amalgamate e i movimenti di vassoi e persone raramente hanno incontrato intralci. La regia dell’evento (usiamo questo termine di moda) è stata ovviamente di don Carlo e dei referenti della Caritas di sant’Elena, ma anche un certo numero di collaboratori occasionali ha fatto la sua piccola parte.
Non è scontato che tanta gente dalle abitudini diverse stia bene insieme, anche se per il breve tempo di un pranzo; né che si cucini e si lavori volentieri per altri che non siano i nostri abituali amici o che si abbia voglia di festeggiare con semi-sconosciuti che nemmeno partecipano ad imbandire la tavola, con l’intenzione di far sentire proprio loro al centro della festa. Eppure è quello che è successo oggi.
Questa è una delle grandi cose che possiamo fare nel nostro piccolo. Mantenere questo entusiasmo e coltivare questi sentimenti è la sfida per il prossimo anno.
Di seguito puoi trovare il racconto delle ultime iniziative che si sono svolte in parrocchia o a cura dei gruppi parrocchiali.
Attenzione mariti, le mogli insoddisfatte o esasperate possono essere le vostre più o meno volontarie assassine. Occhio quindi mariti, perché le donne curano, assecondano, amano, ma quando considerano vano o esaurito il loro compito di spose, compagne e complici, non ci pensano due volte a liberarsi in maniera semplice ma efficace della ormai superflua presenza dei mariti.
Questo è il messaggio trasmesso, in maniera ironica e divertente dalla godibilissima commedia “La Veglia delle Vedove”, rappresentata dalla compagnia filodrammatica di Sant’Elena il 16 aprile 2016.
E’ prevista una replica dopo l’estate: viene quindi data, a chi non è riuscito a venire, un’ulteriore opportunità di trascorrere qualche momento di sano divertimento.
Per vedere qualche scena della commedia, clicca qui.
Massimo Bassano, unico fotografo italiano del National Geographic, nella serata di venerdì 10 giugno ci ha permesso di percorrere uno straordinario viaggio fotografico di 24 giorni intorno al mondo. Le sue immagini hanno prodotto in chi ha potuto ascoltarlo una carrellata di emozioni, dallo stupore per i paesaggi incontaminati alla curiosità per opere artistiche di millenni di anni fa, alla gioia dei volti di persone povere, cariche però di speranza e gioia. Il suo viaggio ci ha consentito di visitare nel giro di poche ore, molte foto e grande passione nove siti riconosciuti dall'UNESCO quali patrimonio dell'umanità, dalla barriera corallina australiana a Rapa Nui (conosciuta come l'Isola di Pasqua), dal Parco naturale di Ngorongoro e Serengeti a Machu Picchu. Il ringraziamento finale a Massimo non è stato solo per il racconto e le foto, ma anche perché è stato in grado di suscitare un nuovo modo di guardare le meraviglie che ci circondano e le popolazioni che le abitano.
Domenica 5 giugno, abbiamo celebrato e festeggiato i 50 anni di sacerdozio di don Emilio Maltagliati, che è stato coadiutore dell’oratorio dal 1978 al 1988. Il momento centrale è stata la celebrazione dell’eucarestia alle 11:15, durante la quale, ancora una volta, egli ha potuto rivolgere la sua parola saggia e amabile alla comunità, commentando la pagina di Genesi che racconta il peccato di Adamo ed Eva, facendo risuonare in chi lo conosceva temi a lui cari, ascoltati in anni lontani.
Dopo la comunione, gli è stata consegnata un’icona, abitualmente chiamata «dell’amicizia», perché raffigurante Gesù che accompagna il discepolo ponendogli la mano sulla spalla. Oltre ad indicare il legame di tutti con il maestro, il quadro vuole alludere anche all’amicizia che ancora oggi unisce don Emilio alla comunità di Sant’Elena e viceversa.
Al termine della messa, nel giardino della casa parrocchiale, è stato preparato un sobrio aperitivo, un’occasione per i giovani di un tempo di raccogliersi a rievocare il tempo passato insieme.
In serata, si è svolta la cena della festa dell’oratorio, occasione per la raccolta di fondi per allestire la cucina e ancora una volta momento per uno scambio con don Emilio. Durante la serata, trascorsa in modo sereno e piacevole, animata dal servizio a tavola dei ragazzi delle medie e dei loro educatori e dall’accompagnamento musicale “live” dei giovani, si è avuto modo di ringraziare pubblicamente don Emilio per la profonda impronta lasciata a Sant’Elena, di cui chi l’ha conosciuto trae beneficio ancora oggi. La sua azione pastorale, a detta dei “giovani di allora”, era imperniata su tre cardini che traggono senso e sostegno uno dall’altro: una intensa preghiera personale alimentata dall’approfondimento della parola di Dio; la proposta di catechesi settimanale, in cui presentava in modo facilmente comprensibile il frutto delle sue riflessioni ed esperienze di vita, credibili perché vissute in prima persona; una presenza sul territorio che l’ha portato a incontrare moltissime persone e ad essere da loro conosciuto e apprezzato; in particolare aveva attenzione per chi era in condizioni di bisogno: molto spesso, con discrezione e fermezza, portava a conoscenza del Gruppo Giovani le situazioni di disagio perché insieme tutti se ne facessero carico.
In risposta a questo ringraziamento, don Emilio ha tenuto a sottolineare che queste coordinate pastorali erano anche il frutto di una fedeltà all’impostazione che il card. Martini stava dando in quegli anni alla diocesi. Inoltre ha tenuto a ricordare lo slogan che ripeteva spesso ai giovani: “dobbiamo essere il gruppo del non gruppo”. Così voleva educarli a tenere in tensione il desiderio di stare insieme e nello stesso tempo di essere aperti verso gli altri, disponibili ad accogliere quanti volevano compiere lo stesso cammino di fede e di formazione, desiderosi di incontrare e frequentare i propri coetanei nei loro luoghi di vita abituali.
Puoi vedere le foto dei diversi momenti della festa, cliccando qui.
Nello scorso mese di agosto, grazie alla collaborazione con l’Ipercoop, si è organizzata una distribuzione straordinaria di generi alimentari per 35 famiglie bisognose del territorio abitualmente seguite dalla Caritas parrocchiale e dall’associazione Allarga l’Arca. L’attività, strutturata tre volte a settimana ha visto la collaborazione di 22 volontari nel ritirare, smistare e distribuire il cibo donato dal supermercato. Il servizio non è stato certamente risolutivo per i costanti bisogni delle famiglie interessate, ma ha consentito di trascorrere serenamente un mese in cui sono poche le strutture, anche assistenziali, che rimangono attive in città.
Di seguito la testimonianza di due volontariLe nuove tecnologie consentono di sapere praticamente in tempo reale cosa succede al di là degli oceani...ma spesso ciò che capita vicino a noi lo vediamo come attraverso un binocolo usato alla rovescia: Una distanza indefinita e nebulosa ti separa dall'oggetto che osservi.
Poi quasi per caso ti capita di essere coinvolto in una iniziativa che permette di ritirare alcuni alimenti offerti da un supermercato di zona e distribuirli ad alcune persone in situazione di necessità.
Allora, vedi, finalmente. Senza tecnologia, senza filtri. Vedi il mondo reale proprio dietro casa tua, e scopri la lotta di ogni giorno, le difficoltà di una umanità varia. Vedi cosa c'è dietro i numeri che leggi sui giornali. Vedi le persone ognuna con la sua storia, il suo cammino. E allora capisci che questa è l'unica strada percorribile: Mettere te stesso. Spesso si dona qualcosa per qualche buona causa, ma alla fine per molti di noi pochi euro non ci rendono né più ricchi né più poveri… Mettere se stessi e il proprio tempo invece arricchisce… rendi ricchi di sorrisi, di umanità vera e vissuta, di umiltà, di tempo speso bene, di dolcezza, di stupore, di tenerezza, di condivisione.
Simona e Roberto